Armonico Contuntende, Interni 583, Jul_Aug 2008

Armonico Contundente
(Casa de Hormigon, designed by BAK arquitectos)

Una vita dedicata alla musica è una vita spesa bene. Eppure tira un gran vento tra le dune di Mar Azul, 400km a sud di Buenos Aires. Attraversato l’atlantico, la brezza vibra di storie lontane e regala echi d’altri luoghi ai primi filari di conifere. La macchia arriva fino alla spiaggia, con i tronchi che affondano nella sabbia dorata, e arretra per alcuni ettari tra i pendii ondulati. Dalla soglia della pampa argentina, il piano infinito, assolato orizzontale, incontra così il suo limite verso mare, e il bosco fa ciò che i muri non sono mai riusciti a fare. Il vento cerca aperture, schiva, diverge, rallenta, si ferma. Tra gli alti fusti, innervati, snelli e tesi, non un soffio, se non il cadere degli aghi di pino. Il sole sorvola e disegna pelli di leopardo sul manto scosceso e puntellato di castano, mentre solo i bagliori del mattino penetrano tra le silhouettes verticali. I tre di BAK arquitectos conoscevano bene il microclima di Mar Azul, striscia di verde dove avevano già costruito altre due case unifamiliari per estati di silenzio e pacificazione. Il passaparola è ancora il marketing più efficace e l’equilibrio terminale di una natura incontaminata stava per affrontare la terza opera. C’era ancora qualcosa da fare.

Era possibile inserire un altro strumento architettonico in uno spartito perfetto. Gli alberi come note, le rifrazioni del sole che variavano gli accordi del giorno, il ritmo che seguiva i versanti ondulati del ciclo vitale, il silenzio. Una nuova diversità poteva convivere lì e condividere l’ottenuta complessità, e arricchirsi di essa. Ma da dove cominciare? Maria, Guillermo e Luciano hanno ascoltato il crepitio dei passi, inspirato l’aria salmastra, fissato limitazioni assolute. La forza del luogo richiedeva un impatto ambientale minimo. Il portafoglio dei committenti, due degli stessi architetti, non permetteva troppe parabole. Il mantenimento successivo al completamento dell’opera doveva essere nullo anche perché si trattava di una casa esclusivamente estiva e distante, e il tempo della costruzione doveva essere il più breve possibile. Il prisma di cemento nasce così, come una costola che emerge dalla terra, come una cassa armonica nuda, poggiata sui dossi di un palmo. Casa de Hormigon, letteralmente Casa di Cemento, anche nel nome sceglie la propria essenzialità, la presa di distanza dal superfluo.

L’intero lotto affronta una pendenza diagonale di 6 metri e così il volume orizzontale è parzialmente interrato nel fianco nord-ovest, verso cui finestre a nastro dei servizi e dell’ambiente cucina puntano radici e foglie a riposo. Se il versante a monte è solidamente ancorato dietro un profilo navale acuminato, la facciata a sud-est confida negli umori della natura, nei suoi cicli perenni, e si svela ad essa. Le due camere da letto e l’ampia zona giorno fotografano la vita fuori apparentemente immobile, la incorniciano entro telai neri di grandi aperture scorrevoli. Nove tramezzi verticali esterni, alcuni dei quali ruotati, decidono le prospettive, riparano dalla vista stradale, si vestono delle ombre degli alberi. I raggi filtrati si allungano dentro uno spazio totalmente grigio, che il vetro colora di verde, marrone, beige, giallo, celeste, bianco. Anche il cemento a faccia vista possiede segni naturali, delle casseforme che lo hanno modellato e che provengono da quegli stessi alberi che ora lo circondano, e riaccolgono. Quelle rughe, come negativi di scatti in bianco e nero, in qualche modo completano un cerchio vitale, cosi come i mobili minimi disegnati dagli stessi BAK riciclano pini canadesi per imballaggio. Come una carezza nascosta in un pugno, da lontano, su strada, si saluta Casa de Hormigon, la sua espressione burbera che nasconde tanta tenerezza, e ci si ricorda di quel soffio di vento da cui tutto era cominciato.